Le azioni contro il datore di lavoro che non paga lo stipendio

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Premesso che oggi in questo momento di crisi generale del mercato del lavoro chi ha un posto di lavoro è una persona fortunata, è sempre più facile sentire però i casi di lavoratori che non ricevono il proprio stipendio o lo ricevono in ritardo.

Cosa fare in caso di mancato pagamento dello stipendio?

Il lavoratore dipendete può agire a tutela dei suoi diritti nei confronti del datore di lavoro in vari modi per ottenere il pagamento degli stipendi arretrati.

Il diritto alla retribuzione (art. 2099 c.c.) è il diritto di ogni lavoratore a ricevere il compenso per l’attività prestata nei modi e nei tempi stabiliti nel contratto di lavoro.

Siamo innanzi a un diritto irrinunciabile e costituzionalmente riconosciuto infatti l’art. 36 della nostra Costituzione dice: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Diverse sono le azioni a disposizione del lavoratore per richiedere il pagamento degli stipendi arretrati e quindi veder tutelato il proprio diritto alla retribuzione: a) Dimissioni per giusta causa; b) Sollecito per il pagamento dello stipendio; c) Tentativo di conciliazione; d) Decreto ingiuntivo; e) Causa ordinaria.

Occorre però fare una premessa, se il datore di lavoro non vi paga e vi vuole far firmare la quietanza a saldo non firmatela altrimenti dichiarerete di aver ricevuto il cedolino ma anche lo stipendio.

Invece il lavoratore può firmare “per ricevuta e presa visione” ed in tal modo dichiara di aver ricevuto il cedolino ma non anche lo stipendio.

Prima azione che può attuare il lavoratore che non abbia ottenuto il pagamento dello stipendio per almeno due mensilità sono le dimissioni per giusta causa (art. 2119 c.c.).

Il mancato pagamento dello stipendio, dunque, è configurato come giusta causa di licenziamento che consente al lavoratore di dimettersi senza dare alcun preavviso al datore.

Il lavoratore potrà chiedere l’indennità di disoccupazione, corredando la domanda da tutti i documenti (lettere di diffida, decreto ingiuntivo) comprovanti il recupero giudiziale o stragiudiziale della somma. E l’indennità di disoccupazione sarà corrisposta provvisoriamente fino all’esito della procedura (giudiziale o stragiudiziale) intrapresa.

Altra azione è il sollecito per il pagamento dello stipendio che consiste in una lettera di diffida indirizzata al datore di lavoro e con la quale si chiede allo stesso di adempiere la sua prestazione (cioè il pagamento dello stipendio arretrato) in un termine che, di regola, non è superiore ai 20 giorni. Essa contiene, peraltro, l’avvertimento esplicito che se il datore non provvederà a quanto richiesto nei termini concessigli, si adiranno le vie legali.

Nello specifico, il diritto del lavoratore aI pagamento dello stipendio arretrato è soggetto al termine prescrizionale di cinque anni (art. 2948 c.c.).

Altra azione da esperire è il tentativo di conciliazione presso le Commissioni di conciliazione, istituite presso ciascuna Direzione territoriale del lavoro (art. 410 c.p.c.).

Poi vi è l’azione tramite decreto ingiuntivo, in questo modo si instaura un procedimento che consente di richiedere il pagamento di una determinata somma di denaro, qual è appunto lo stipendio arretrato comprensivo degli interessi maturati sino a quel momento e delle spese legali.

In questo caso si deve fornire una prova scritta del credito retributivo e cioè la busta paga che, come abbiamo detto prima, il lavoratore avrà firmato solo “per ricevuta e presa visione”.

Se invece il lavoratore è sprovvisto di busta paga si potrà rivolgere al giudice del lavoro per richiedere che il datore di lavoro consegni tali documenti al lavoratore.

Emanato il decreto ingiuntivo dal giudice e notificato al datore di lavoro, quest’ultimo ha tempo 40 giorni per pagare o proporre opposizione.

E allora possiamo avere i seguenti scenari: – Il datore di lavoro paga: il procedimento si chiude; – Il datore di lavoro non paga e propone opposizione: inizia una causa ordinaria; – Il datore di lavoro non paga e non propone opposizione: il decreto viene dichiarato esecutivo e si potrà procedere all’esecuzione forzata.

Potrebbe avvenire infatti che, anche dopo aver perso la causa, o ricevuto un decreto ingiuntivo definitivo, il datore non intenda ugualmente pagare.

Il lavoratore potrebbe allora provare la carta dell’esecuzione forzata, verificando se il datore di lavoro è titolare di conti correnti, immobili, automobili o altri beni appetibili per il pignoramento.

Ma qualora anche tale carta fallisca, c’è la possibilità di chiedere il fallimento del datore di lavoro. Si tratta di una scelta forte che va valutata con molta attenzione. Infatti, non è detto che dopo il fallimento  il lavoratore venga pagato immediatamente.

Al contrario. Per gli ultimi tre stipendi e il TFR ci penserà il Fondo di Garanzia presso l’Inps (ma anche per tale pagamento sarà necessario attendere diversi mesi); per i restanti crediti, invece, bisognerà insinuarsi al passivo del fallimento: con la possibilità che, se l’azienda è priva di attività, non si verrà mai soddisfatti.

Se invece il lavoratore non dovesse essere provvisto di documenti attestanti il suo credito retributivo o come più spesso accade abbia inconsapevolmente firmato la busta paga per quietanza, allora dovrà instaurarsi una causa ordinaria volta all’accertamento del credito.

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