La riabilitazione penale

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Per una leggerezza avete commesso un reato e siete stati condannati? Magari non avete rischiato il carcere perché la pena è minima o perché siete incensurati ma avete macchiato la vostra fedina penale?

In poche parole avete un marchio che resterà impresso sul certificato personale che potrà comportare effetti negativi per esempio per una possibile assunzione, per partecipare ad un concorso pubblico, a bandi e gare.

Un modo c’è per togliere questa macchia infatti uno degli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento è la riabilitazione penale, in grado di estinguere la pena e ogni altro effetto susseguente la condanna.

La riabilitazione tende a cancellare gli effetti penali del reato commesso con un vero e proprio colpo di spugna. Secondo il codice penale, la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna (art. 178 c.p.).

Il diritto penale prevede che il fatto costituente reato, oltre ad essere punito con la pena principale (la reclusione, in genere), sia sanzionato anche con una pena accessoria, cioè una punizione ulteriore che consegue automaticamente alla condanna. La riabilitazione produce i suoi effetti proprio su questo tipo di pene, non su quella principale.

Il codice penale prevede le seguenti pene accessorie: l’interdizione dai pubblici uffici; l’interdizione da una professione o da un’arte; l’interdizione legale; l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; l’estinzione del rapporto di impiego o di lavoro; la decadenza o la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale; la pubblicazione della sentenza penale di condanna (art. 19 c.p.).

La riabilitazione penale può essere chiesta solamente dal condannato che abbia già scontato la pena principale, alle seguenti condizioni:

1) che siano decorsi tre anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta, ovvero otto anni nel caso dei recidivi qualificati o dieci anni per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza;

2) che il condannato abbia dato prove concrete di buona condotta durante il periodo indicato;

3) che il condannato non sia stato sottoposto a misure di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato o di confisca, ovvero che il provvedimento sia stato poi revocato;

4) che il condannato abbia adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato (risarcimento), salvo che dimostri di essere nell’impossibilità di adempierle (art. 179 c.p.).

Ma cosa succede se la pena principale non viene eseguita?

Il caso più frequente è quello del condannato a cui sia stata concessa sospensione condizionale della pena, cioè quel particolare beneficio previsto dalla legge nei casi in cui il giudice infligga una pena inferiore ai due anni. In questa ipotesi il termine per chiedere la riabilitazione decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena.

La riabilitazione penale, al ricorrere delle condizioni sopra viste, rappresenta un vero e proprio diritto per il condannato, nel senso che il giudice non può scegliere di negargli il beneficio.  Specularmente, però, la riabilitazione penale può (anzi, deve) essere revocata se il riabilitato commette, entro sette anni dalla concessione del beneficio, un delitto doloso per il quale la legge preveda la pena minima di due anni di reclusione, o altra pena più grave (art. 180 c.p.).

La riabilitazione penale consente al riabilitato di ottenere nuovamente la non menzione della condanna nel certificato penale se tale beneficio era stato concesso in precedenza per condanne oramai riabilitate.

Per le sentenze di patteggiamento (art. 444 c.p.p.) con le quali sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria l’effetto estintivo (del reato) si produce a seguito del decorso del tempo di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, o di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione.

Per tali sentenze è quindi possibile chiedere la riabilitazione solo decorsi 3 anni dalla condanna ma prima dei 5 anni dall’effetto estintivo: si evidenzia infatti come la estinzione per le sentenze di patteggiamento qui in esame abbia un campo di applicazione ancora più ampio rispetto alla riabilitazione, precedendo che con l’estinzione del reato si estingue parimenti “ogni effetto penale”, tra cui naturalmente anche gli effetti penali della condanna richiamati dalla riabilitazione.

In altri termini, quando si verifica una pronuncia ex art 445, 2 c., c.p.p., il decorso del tempo fa venire meno tutti gli effetti penali derivanti dal reato oggetto del “patteggiamento” e con essi anche tutti i pregiudizi tipici che consistono negli effetti penali della condanna. Basta quindi chiedere la cd. estinzione ed è quindi inutile chiedere riabilitazione.

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(fonte https://www.laleggepertutti.it)